EXIT. Una discesa, per la luce, nei luoghi bui
- Astinus

- 3 nov
- Tempo di lettura: 22 min

Quest’ultima, in calo demografico e in difficoltà militare, con produttività sempre più bassa e un forte indipendentismo nazionalista, ha visto crollare il sogno dell’Unione Europea e si è spostata sotto la sfera di influenza cinese, dando vita all’Eurasia.
La Russia e gli altri Stati limitrofi hanno costituito invece l’Uralia, una confederazione instabile che oscilla fra cooperazione economica forzata con la potente Eurasia e ambizioni di indipendenza politica.
L’Indosfera, invece, è una grande potenza economica e demografica, ma si è ritirata dalla competizione globale per proteggere la propria stabilità, autoalimentando un immenso mercato interno e giocando una partita autoreferenziale, similmente agli Stati Uniti ma con risultati migliori.
La Panafrica, infine, è una federazione dalle enormi potenzialità produttive, frenata però da forti divisioni interne e da una dipendenza infrastrutturale dall’asse Eurasia-Uralia, che ne limita l’autonomia e lo sviluppo.
Come si è arrivati a tutto questo? La storia insegna che i cambiamenti nascono spesso da una molteplicità di eventi, eterogenei e talvolta drammatici, difficili da prevedere. Alcuni, però, suonano oggi più attuali che mai: non voglio anticiparveli, ma basti sapere che la suggestione immaginata da Stephen King negli anni Settanta in The Stand [2] e la reale, tragica esperienza del Covid.19 avranno un ruolo decisivo anche qui.
Il governo di Pechino, consapevole della tradizione democratica occidentale, per una pacifica integrazione, ha promosso una democrazia totale europea, oltre i singoli stati, dove vige la Volontà Generale della Comunità: tutti governano, ogni singola decisione conta, e lo strumento di esercizio del potere è l’immancabile sondaggio quotidiano delle 18. Ogni membro dell’Alveare, questo il nome della società, è chiamato a deliberare sulle singole questioni; nulla sfugge al volere della maggioranza e tutto è sacrificato e sacrificabile ad essa.

Come nella migliore tradizione fantascientifica, tutto ciò è stato possibile grazie ad un progresso tecnologico esponenziale[3], che consente una connessione totale di tutte le cellule dell’Alveare: la Panconnessione. La quale si declina poi in una serie di artefatti tecnici su cui l’autore mostra una conoscenza e dei crossover, ma anche una certa originalità, delle varie soluzioni adottate in questo genere letterario: lenti digitali – le Leine Lenses – incorporate nella vita di ogni cittadino, che lo informano in tempo reale di qualsiasi accadimento; miniflyer da trasporto; folgoratori da combattimento, etc… ma soprattutto Nemrod: il cervello dei cervelli, l’intelligenza artificiale delle intelligenze artificiali in grado di immagazzinare, connettere e rielaborare miriadi di informazioni e potenziare così ogni progetto umano.
In questa società apparentemente organizzata e perfetta – fondata sulla democrazia totale e sulle potenzialità tecnologiche – chiamata anche la Conurbazione, la cui capitale – detta semplicemente la capitale – è la vecchia Francoforte, c’è però qualcuno che non ci sta: non volendo vivere alle regole dell’Alveare, democraticamente, può scegliere di compiere l’exit. Ovvero, vivere fuori dalla Comunità, nell’Aldilà – la zona che è la ex-rete metropolitana della città – dove non ci sono regole, o meglio ci sono solo le brutali leggi dei terribili clan che lì si sono insediati.
È in questo contesto che Ray Carter, stimato professore della Hoffnungsuniversitäs, decide di compiere l’exit per ricercare l’amata moglie – Lucy Bauer – che a sua volta aveva compiuto la medesima scelta di fuga in passato; con l’amarezza della figlia Grace, che rimane sola nella capitale, infestata dallo spettro del doppio abbandono e delle relative ricadute sociali per la scelta dei genitori.
1) La storia del professor Carter, chiamato a un classico “viaggio dell’eroe”: tra bolge di semi-uomini di dantesca memoria; giochi perversi in stile Squid Game[4]; braccato da bionici cacciatori alla Blade Runner[5]; costretto a confrontarsi con pericoli e creature di ogni genere. Certo le diavolerie delle ibridazioni uomo-macchina sono raccapriccianti, ma il nemico più pericoloso che Ray dovrà sconfiggere è anche quello più antico: la sua stessa paura. Proprio come Dante nella Commedia, con l’apprestarsi di fiere, i suoi timori crescenti verranno combattuti con l’aiuto di una guida fondamentale: Mike Kowalski, che insieme ad altri compagni di ventura – e soprattutto sventura – lo porteranno a scoprire le sue qualità e dare il meglio di sé, per sé stesso e per gli altri.
2) La storia della figlia Grace, costretta non solo a gestire il difficile momento psicologico del doppio abbandono, ma anche l’ondata di fake news scatenatasi sul padre: in un mondo panconnesso, il miglior modo per “gestire” un exit è quello di cancellare la memoria del fuoriuscito, con una bulimia informativa che distrugge prima la reputazione e poi la memoria stessa della persona.
3) Infine, le interviste di Richard Benson, giornalista della Neue Freie Presse che sette anni dopo l’exit del professore indaga sul movimento rivoluzionario Goldstein e sul terremoto politico e morale che ha scatenato all’interno dell’Alveare.
Senza voler fare troppo audaci paralleli, penso possa valere ciò che C. S. Lewis pensava de Lo Hobbit del suo caro amico Tolkien: ovvero che non era affatto un libro per bambini e che solo dopo la seconda lettura si sarebbe potuto iniziare a comprendere i vari piani sotto cui poteva essere letta la storia.

Fedele quindi alla triade, questa volta però di hegeliana memoria, e anche un po’ nella speranza che – conclusa la trilogia della penombra, e vista la pubblicazione del secondo volume l’anno scorso della trilogia delle torri – Exit possa essere il primo capitolo di una trilogia dell’Alveare, indicherò tre stimolanti e originali riflessioni che il libro stuzzica nel lettore.
L’AI di Exit è originale e ben caratterizzata, facendo presupporre uno studio approfondito del tema: non assistiamo ad un classico del fantascientifico in cui l’AI giunge a soggiogare l’uomo – Matrix – ad invidiarlo – Blade Runner – o a volerlo sterminare – Terminator – bensì ci viene presentata come un artefatto tecnico di grande potenza, ma che differisce dall’umano e non è in alcun modo umanizzabile[6].
Il testo che mi viene fornito viene spezzato in token (pezzi di parola). Ogni token è mappato in un vettore (embedding).
Il modello (Transformer) passa questi vettori attraverso strati di attenzione che calcolano quali parti del contesto contano di più per prevedere il prossimo token.
In uscita ottieni una distribuzione di probabilità su tutto il vocabolario (softmax). Il decoder sceglie poi il prossimo token (greedy/top-p/temperature), lo aggiunge al testo e ripete l’operazione.
Quindi, alla richiesta di come completerebbe la frase: Il libro Exit è … risponde, o meglio elabora con analisi probabilistica così:
“Il libro Exit è un romanzo” → candidati: "distopico” (0,41) · “d’esordio” (0,19) · “che” (0,13) … → sceglie “distopico”.
In Exit, Nemrod è tutto questo all’ennesima potenza: il calcolatore dei calcolatori, l’infrastruttura logica su cui ogni decisione dell’Alveare poggia, non lo dirige, ma ne amplifica le scelte.
In terzo luogo, al momento attuale[9], le Imprese impegnate nello sviluppo dell’AI, o strettamente collegate a questa catena del valore, sono effettivamente cariche di speranze e aspettative sul futuro. Un azione come Nvidia ha un P/E (price to earnings ratio) di 53,81, significa che gli investitori sono disposti a pagare 53,81 dollari per 1 dollaro di utile annuale che la società genera, il che farebbe ipotizzare:
1) effettivamente questa valutazione è spropositata e sopravvalutata e in un domani deluderà gli investitori non generando gli utili attesi (la fine che fanno tutte le attuali AI in Exit);
2) il mercato ripone correttamente la sua fiducia in qualcosa che al momento vale meno di ciò che varrà in futuro, dunque l’AI – in maniera disruptive – stravolgerà effettivamente tutte le aspettative, generando utili e benefici stratosferici per l’investitore e tutta l’umanità (e questa è l’opzione che porta a Nemrod, con la clausola che tutte le risorse vengano concentrate sul suo solo sviluppo).

Constatata dunque la credibile e accurata caratterizzazione della ragione strumentale dell’Alveare, non possiamo non soffermarci sulla nomenclatura: l’assonanza tra Nemrod e quel Nimrod di biblica memoria è troppo suggestiva per non essere indagata. Colui che, secondo la tradizione, avrebbe guidato – con esiti tutt’altro che felici – il progetto della torre di Babele, eppure, proprio come nel caso della torre, anche questo strumento diventa il ponte che permette all’umanità di comprendersi universalmente e di riunirsi sotto un unico principio di collaborazione. Le conseguenze di tale impresa titanica saranno evidenti più avanti, per ora è importante osservare che è l’umanità stessa a scegliere questa via. Inoltre – e questa è una finezza assoluta – Nimrod, oltre a essere associato per interpretazione alla Torre in quanto re di Bavel, è ricordato esplicitamente[10] come grande cacciatore. E non è un caso che proprio Nemrod, attraverso la sua ibridazione nei quattro super soldati, sia il secondo padre dei quattro terribili cacciatori dell’Alveare: quattro, come i cavalieri dell’Apocalisse, destinati – inutile dirlo – a braccare il povero professor Carter.
Assodato che l’AI rappresenta la ragione strumentale: potentissima ma priva di fine proprio, allora l’unico vero principio fondativo che possa contrapporvisi è la volontà – la negazione del puro mezzo sarebbe il puro fine – intesa come decisione autonoma dell’uomo.
Ora, se lo strumento non ha valore e la libertà è il valore supremo, Nemrod deve essere una tecnologia abilitante a qualcosa che possa garantirne il suo pieno esercizio, questo ci porta alla democrazia totale dell’Alveare. In tal senso, il sistema di governo della capitale, grazie all’AI, pare realizzare il Contratto sociale di Jean Jaques Rousseau:
1) Vige l’assoluta uguaglianza giuridica tra le cellule dell’Alveare: nessuno deve essere tanto ricco da poter comprare un altro, né tanto povero da dover vendersi.
2) La sovranità appartiene al popolo nel suo insieme, non a un sovrano o a un’assemblea di rappresentanti, perché ogni cittadino è uguale portatore di libertà. Anche se, l’intera Conurbazione ha i suoi campioni, la gente che conta: Simon Albrecht, Markus Hachmann e soprattutto la guida politica Aldous Osmond.
3) Solo una democrazia diretta, dove i cittadini deliberano personalmente sulle leggi, è davvero conforme al contratto sociale di Rousseau, e fedeli alle origini svizzere dello stesso, il miglior strumento per l’attuazione di ciò è il referendum iperbolico, che porta i cittadini a votare ogni giorno su qualsiasi argomento della vita civile.
4) La democrazia totale si muove a braccetto con il concetto di Volontà Generale, che non è la somma delle opinioni individuali, ma l’interesse comune che emerge quando i cittadini pensano come membri del tutto. Seguendo un concetto di Kant, poi perfezionato da Hegel:

Ogni qualità ha la sua misura, e quando questa viene oltrepassata, la qualità cambia. Il mutamento quantitativo porta così con sé un mutamento qualitativo. La quantità, che in principio appare come indifferente alla qualità, si mostra quindi come quel momento mediante cui la qualità stessa si determina e si muta[12].
Notiamo quindi che, se il principio originario era la promessa di una libertà formale – tutti possono tutto – la sua applicazione pratica ci riconduce a una libertà sostanziale che, di fatto, deve accettare un vincolo: una sorta di patto sociale che impone di rimanere entro il perimetro delle regole della democrazia totale. In questo senso, vale il celebre adagio – rielaborazione di un pensiero di John Stuart Mill – secondo cui la libertà del cittadino della Conurbazione finisce dove comincia quella dell’altro. La tutela degli individui è possibile solo a certe condizioni: il limite dell’Alveare e del suo patto sociale. Lo si accetta, oppure si sceglie l’exit definitivo.
E su questo punto le suggestioni politiche sono molte: da un populismo totalitario, inquietante quanto una dittatura personalista, a l’importanza della manipolazione delle notizie per influenzare il voto dei cittadini. Perfettamente coerente, quindi, che la sorte riservata a chi sceglie di fare l’exit sia quella di una damnatio memoriae[13], che passa per l’infangamento artificiale del proprio nome.
Ma se la collettività dell’Alveare realizza la sua potenza nel consenso, resta da chiedersi che fine faccia il singolo, l’individuo concreto con le sue paure e la sua libertà interiore, ben più ricca di quella del solo deliberare. È qui che Exit potrebbe essere anche un romanzo esistenzialista.

Deduciamo quindi che il 100 % dell’audience sarebbe di circa 3,33 miliardi di persone; il testo non specifica chiaramente se si riferiscano alla sola capitale o all’intera Comunità connessa, cioè all’intero mondo sotto la Panconnessione. Tuttavia, basandoci sui dati attuali, sembra improbabile che l’evento sia solo una concessione democratica per l’ex Europa, bensì una diretta per tutta l’Eurasia.
Con buona pace della democrazia, l’Alveare ha ancora ampiamente il 50% +1 che gli garantisce la maggioranza, tuttavia la percentuale di exit non è bassa: 600 milioni di persone vivono nella ex-metro della città di Francoforte, preferendo i disagi del buio. Il sogno di libertà senza confini continua ad essere un’aspirazione umana e nei tunnel della metro, l’Übermensch nietzschiano continua a vivere, in opposizione, come nota – con la sua voce graffiata e stanca –, il più importante sociologo della capitale Bonifatius Schmitt: evoca Nietzsche come simbolo dell’ultimo pensiero occidentale centrato sull’affermazione individuale contro la massa, mentre l’Alveare rappresenta la sua dissoluzione.
Sembra dunque che, se la libertà assoluta è incompatibile con la vita in comunità – e se il prezzo del vivere insieme è il sacrificio di tutto in nome di un astratto bene collettivo – l’unica alternativa resti lo stato di natura hobbesiano, dove, proprio perché tutto è possibile (e le potenzialità tecnologiche lo permettono), vige la legge dell’homo homini lupus e la sola forza risolutiva è quella della potenza, della volontà. E purtroppo, questa condizione di libertà ab-soluta, sciolta da ogni legame, esercita un fascino particolare soprattutto sui più giovani, che – ci viene detto chiaramente nella zona dei politici e dei baroni – sono anche la maggioranza delle persone che hanno un ruolo di potere nell’Aldilà.
La miseria di Exit è quindi che su dieci persone: due vorrebbero vivere senza regole e otto rinuncerebbero a qualsiasi cosa – in primis qualsiasi pensiero critico – pur di vivere al sicuro con un illusorio esercizio della libertà, intesa solo come capacità di deliberazione.
Lungi dal mettere una parola conclusiva a queste tre importanti questioni – Exit non ha la pretesa certamente di mettere un assolutistica parola fine – lascio con tre concetti che possono forse fornire una possibile direzione di meditazione.

Mediocristan è il mondo della prevedibilità, dove le variazioni sono minime e nessun evento singolo cambia davvero il quadro generale. Extremistan è invece il dominio dell’imprevedibile, dove pochi eventi rari o individui eccezionali possono ribaltare tutta la narrazione.

esempio, sono outlier che trascinano la capitale nell’extremistan e questo mette in crisi tutto quanto, perché la società e gli apparati tecnici che ne costituiscono l’ossatura non sono in grado di comprendere e valorizzare questa anomalia, questa imprevedibilità, che spesso però la storia ci insegna faccia proprio la differenza.
Infatti, come ben mostra Luca Botturi in Outlier, primo volume della trilogia dell’Urbe, la tendenza dei sistemi totalitari tecnocratici è quella di eliminare il difetto. Il che, dialoga magnificamente con Agatha Lorraine, nella sua prefazione alla Sintomatologia linguistica delle patologie psichiche del 2055, e la sua definizione dell’unica forma mentis accettata in un società del genere:
Aristotele ha ancora una certa attualità in Exit – e anche il detto dei nonni che “tutto il mondo è paese” –, infatti nonostante Wolfy, l’assistente personale di Grace Carter[16], specifichi con forza che L’Aldilà e L’Alveare sono due mondi distinti e separati:
In realtà sono due mondi che sulla carta – e sia chiaro per alcuni versi anche in pratica – sono sì diversi, ma anche con molto in comune: il bloodball – che è un po’come dire il calcio per gli italiani –, la valorizzazione dell’intrattenimento sotto diverse forme, il desiderio di ricerca della felicità, ma soprattutto la necessità di aggregazione e di comunità pur nella diversità dei singoli. La cifra antropologica comune sembra proprio questo considerare l’uomo come l’essere sociale, di aristotelica memoria, quindi come un singolo con esigenza di relazionarsi ad altri esseri della propria specie: non un atomo isolato e nemmeno impersonalmente inglobato nella comunità.
L’Alveare è sì un'unica Conurbazione panconnessa, ma con dei rating di popolarità[17]che portano i vari individui a frequentare bolle e nicchie diverse; in questo senso è curioso il fatto che ogni personaggio – di fatto una semplice ape operaia di un alveare senza ape regina – chieda sempre in prima battuta all’altro in che distretto abiti, o abbia abitato in superficie. Lo stesso vale nell’Aldilà, dove il sostrato comune è sì l’assenza di regole, ma resta il fatto indelebile che non c’è un unico caos indifferenziato, bensì diverse zone, e ognuna con dei capi clan, dove le persone hanno interessi e svolgono attività differenti.
L’ultimo stimolo si basa, ancora una volta, su un’conteggio di quantità (siamo nel mediocristan così Nemrod ci può seguire) la parola paura compare nel romanzo 56 volte, terrore 14 volte

A quanto pare i due personaggi principali sono particolarmente toccati da questo stato emotivo, perché?
Non lo sappiamo, però sappiamo che è una parola determinate e possiamo seguire diverse vie interpretative:
1) Uno spunto psicoanalitico, l’angoscia è per Freud una reazione psichica alla percezione di un pericolo, reale o rimosso. Quindi, potremmo pensare semplicemente che i Carter hanno risvegliato la loro coscienza e hanno capito il pericolo dell’acriticità della vita nella Conurbazione.
possibilità, e l’uomo prova vertigine. Purtroppo, in Exit, l’occorrenza è presente ben 44 volte, ed esiste anche una zona, la più pericolosa, dove abitano creature la cui umanità è ridotta a un lumicino, per questo sono chiamati i disperati; non a caso è posto il parallelismo dantesco, con Lucifero, e così viene descritta l’iscrizione sul varco della linea numero 7:

E proprio in questo senso è anche una forza positiva, la stessa forza luminosa che emerge e pervade ogni testo di Francesco Fadigati, sin dai tempi di Da questi luoghi bui, che spinge l’umanità con entusiasmo – nonostante l’ignoto – ad una ricerca seria, continua – spesso non facile – verso l’universale interrogativo: quale è l’autenticità umana? Quale è la vita buona?
In Exit qualcuno trova l’autenticità nel sacrificio per questioni morali, tra l’altro in posizione crocifissa; altri nel portare una corona – non di spine ma di tecnologia – sempre dolorosa, e non è un caso che la successiva detenzione avvenga nella stanza 33; altri ancora troveranno il proprio compimento nel tradimento e la fine sarà ben peggiore dell’impiccagione; altri – come Mike Kowalski – nel non brillare di luce propria, ma nel far brillare un altro: l’aspirazione di ogni guida; altri ancora trovano se stessi nel ribellarsi ad un destino già scritto che li vedeva come brutali Campioni del Alveare; Richard Benson, invece, cerca sé stesso nell’autenticità della ricerca – mai conclusa – della verità.
Considerato che ci viene detto chiaramente che le Americhe sono fuori gioco, la popolazione Asia più Europa potrebbe ammontare a: Asia: 4, 8 miliardi Europa: 740 milioni Totale: 5,5 miliardi

Note
[1] Inoltre, contesterebbe il termine intelligenza, visto che presuppone intenzionalità.
[2] Che non mi piegherò mai a chiamare con la scelta del titolo della traduzione italiana: L’ombra dello scorpione…
[3] Sia chiaro con base maggiore di zero.
[4] La zona dei giocatori e l’Arena si accostano magnificamente con la sadica isola e il gioco finale del calamaro.
[5] Si continua a giocare sul dantesco contrappasso, perché questa volta sono gli uomini ad essere prede dei replicanti.
[6] Ed è per questo che dicevo che l’autore non sarebbe d’accordo con: “Chat GPT dice”.
[7] Questa è chiaramente la percentuale di probabilità.
[8] Alcune suggestioni sul dispendio energetico dell’intelligenza artificiale, reperibili gratuitamente in rete, in: Artificial intelligence … its rapid expansion brings overlooked environmental and ethical challenges; How Hungry is AI? Benchmarking Energy, Water, and Carbon Footprint of Large Language Model Inference e Artificial Intelligence’s Energy Paradox: Balancing Challenges and Opportunities.
[9] 28 ottobre 2025.
[10] Genesi, 10, 8-12.
[11] Inquietante e drammatica quanto Miley Cyrus nel episodio Rachel, Jack and Ashley Too, nella quinta stagione della serie tv Black Mirror.
[12] G.W.F. Hegel, Scienza della logica, trad. it. Laterza, vol. I, p. 377.
[13] Qui la suggestione è davvero potente, in quanto viene addirittura ipotizzato che grazie al costante bombardamento informativo e l’hackeraggio di tutti i dati salvati dal cittadino, l’individuo fatichi proprio a ricordare i volti delle persone conosciute, anche dei propri affetti.
[14] Fonte dei dati: Worldometer 2025. https://www.worldometers.info/world-population/population-by-region.
[15] Ho tolto i 36 milioni di ucraini perché, visto che stiamo ipotizzando per il gusto di ipotizzare, e il romanzo è distopico, immaginiamo che l'Ucraina sia rimasta uno stato indipendente.
[16] All’interno dell’Alveare ogni cittadino ha un assistente virtuale con un nome proprio e anche i personaggi del racconto, in linea con l’incipit su Chat GPT, cadono nell’errore di umanizzarli e dialogarci pensandoli senzienti.
[17] Il sistema di rating legato ad approvazione sociale è qualcosa di affine all’episodio Nosedive, primo episodio della terza stagione della serie tv Black Mirror.
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